A Tinder Story

A Tinder Story

Detto anche “l’amore in tutte le sue pessime forme“.

A Tinder Story è la storia di come si possano avere 250 match e più di 2000 like con delle foto da drag (con abbondanti tette finte).

Non vi tedio con i ragionamenti sull’algoritmo e su come sia sostanzialmente proibitivo per una persona normale, senza zoom su culo o pettorali; voglio invece concentrarmi sugli etero (curiosi), che sono i veri protagonisti di questa Tinder Story.

La cosa che mi ha sconvolto è la richiesta di trasgressione (eviterò di essere inutilmente esplicita), molto ma molto più alta del previsto, con boni da gara che mi chiedono ricche foto di quanto si cela dietro la vestaglia.

La cosa che però ha fatto a pezzi il mio già piccolo cuore, è che il maschio etero soffre degli stessi disagi del maschio gay.

Praticamente per trovare un partner sessuale adeguato, l’unica vera opzione sono le donne.

È sì, viva la foca, come direbbe Lory del Santo

Gli uomini soffrono tutti degli stessi problemi: non risposta, narcisismo, egomania, dipendenza dal sesso, volgarità, mancanza di introspezione, mancanza di disponibilità ad un minimo compromesso, permalosità, irascibilità e scarso interesse per tutto quello che non sia il loro (brutto, piccolo, corto e storto) cazzo.

Praticamente dire “perditempo” e “contaballe”, con una grattugiata di narcisismo patologico, sarebbe un eufemismo.

D’altronde c’è chi mi ha chiesto di andare in DRAG, a Venezia, e recitare per lui un personaggio della nobiltà dell’800.

Idea anche curiosa sulla carta, peccato che, secondo lui, sarei dovuta andare gratis.

E in base a cosa, di grazia?

Il livello di distacco dalla realtà è così completo che l’unico consiglio che mi sento di poter dare loro è convertirsi in Hikikomori e chiudersi per sempre in casa loro a giocare ai videogiochi.

Ovviamente se una persona mi chiede una performance, e per me è un lavoro, la performance va remunerata. Concetto basic.

Io sto su Tinder come esperimento sociologico, e debbo dire che i risultati non si sono fatti attendere.

D’altronde, all’alba dei 34 (quasi 35) anni, mi sono fatta seriamente delle domande, e una era se, in quanto persona non binaria con una forte presenza social “en travesti”, in realtà con i ragazzi gay stessi sbagliando target. Proprio una mera domanda di marketing.

E la risposta è un fottuto plebiscito!

MA, c’è un ma: tra il dire ed il fare, ci sono le insicurezze del maschio.

Vogliamo così, casualmente parlare del mio ex che a distanza di tre anni di silenzio stampa (non un messaggio, non un tag su Instagram dove ringraziava il trasferimento a Barcellona di avergli cambiato la vita [e presumo, avergli aperto le porte del porno amatoriale sottopagato]), mi si presenta davanti in serata e mi chiede pure di abbracciarlo?

Ma in base a cosa?

Ovviamente gli uomini c’hanno la sabbia in testa, me ne sono fatta da tempo una ragione.

Tuttavia, anche lì, un ragazzo così bello (almeno un tempo) vederlo sbracciare per due minuti di attenzioni sicure da vecchie conoscenze mi ha dato il quadro sicuro e desolante del problema dell’uomo moderno: l’insicurezza.

Egoriferiti, pieni di sé, sempre pronti a puntare il dito contro la pagliuzza altrui ignorando deliberatamente di avere un grosso palo infilato dove non batte il sole.

Fidanzati di fresco limonano flirt del passato. Finte suore si lamentano dei casi umani e poi ammettono su Instagram di avere ceduto alla dark room.

E poi, quando la speranza sembra svanire, e tu sei sicura che diventerai lesbica e già cominci a commentare con desiderio le amiche pinup sui social, ecco che c’è ancora un giovane virgulto che ti chiede “ma tu, come stai veramente?“.

Allora forse c’è ancora speranza.

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